VATICANO - Giornata mondiale di preghiera per la santificazione dei sacerdoti: “affinché i sacerdoti possano essere validi testimoni dell’amore di Cristo”

venerdì, 15 giugno 2007

Città del Vaticano (Agenzia Fides) - Il Santo Curato d’Ars ha detto che “il sacerdozio è il Cuore di Cristo”. E’ certamente l’atto di amore estremo che Cristo ha per quelli che accettano di essere suoi apostoli, che Egli chiama a vivere con Lui e ad agire in suo nome; allo stesso tempo il sacerdozio ministeriale è un effetto dell’amore immenso che Cristo ha per tutti gli uomini e le donne, fino a quando tutti non saranno riconciliati con il Padre. I presbiteri infatti sono i sacramenti viventi di Cristo Supremo Pastore, che non ha esitato a dare la propria vita per il mondo.
I sacerdoti devono considerare il loro ministero unicamente come un servizio di amore. A loro è richiesto di avere gli stessi sentimenti di Cristo, che per amore al Padre e per la salvezza dei suoi fratelli volentieri si è sottoposto al tormento della croce. Da loro quindi è richiesta la santità. Non possono e non devono vivere per se stessi, ma per Cristo, in un atto di perenne donazione all’umanità. Solo così possono diventare dispensatori e testimoni dell’amore di Cristo. Papa Giovanni Paolo II, che nel 1995 volle istituire la Giornata mondiale di preghiera per la santificazione dei sacerdoti, partiva da questa verità semplice, quasi un principio primo: “La chiamata alla missione deriva per sé dalla chiamata alla santità” (RM, 90).
Sappiamo che la scienza della comunicazione assegna un ruolo insostituibile alla personalità del comunicante, che ne condizione l’esito, sia in senso positivo che negativo. Il destinatario del messaggio, prima ancora di ascoltarne il contenuto, emette un giudizio di valore su chi lo veicola, da cui fa dipendere sia il rifiuto che l’accettazione. Dai preti che sono chiamati a comunicare un messaggio non misurabile in termini quantitativi, palpabili e visibili, per di più contro il buon senso comune, gli ascoltatori esigono una personalità coerente con il messaggio che annunciano. A poco vale la capacità tecnica se manca la forza della testimonianza.
Questa è la ragione per cui in questi anni si è insistito fin troppo sulla santità e sulle profonde convinzioni interiori, richieste al prete e missionario, comunicatori del Vangelo. Perché questa Chiesa e noi sentiamo effettivamente l’ansia della missione, dobbiamo prima di tutto fare i conti con noi stessi, dobbiamo rivedere la nostra vocazione. E’ questa una condizione necessaria, perché non è possibile una frattura violenta, una schizofrenia tra il contenuto dell’annuncio e l’annunciatore. Qui forse è la causa più grave per cui il Vangelo non è più significativo, comprensibile ed efficace nella nostra società, e della stasi dell’attività di evangelizzazione.
Si esige perciò un ritorno all’Assoluto, al Centro, a quel Cuore di Cristo, dove abbiamo o ritroviamo le ragioni uniche e vitali della missione. “Perché la missione ?” si domanda Giovanni Paolo II nella Redemptoris Missio. “Noi rispondiamo con la fede e l’esperienza della Chiesa che aprirsi all’amore di Cristo è la vera liberazione”. Il Vangelo resta sempre la forza e l’energia salvifica di Dio, è un messaggio profetico valido anche per l’uomo contemporaneo. Soltanto nella fede in Cristo la missione ha il suo fondamento e la sua forza, e il motivo di esistenza di ogni altra attività della chiesa.
Perché un prete e una comunità da lui guidata possano essere in grado di annunciare, è necessario che si riapproprino della fede in Cristo, creduto come il vero e unico Salvatore, che ci spinge a lavorare per il Regno di Dio. Il beato Padre Paolo Manna, fondatore della Pontificia Unione Missionaria, era un appassionato di Cristo e un tormentato dalla salvezza delle anime. Per questo egli confessava: “In tutta la mia vita non ho studiato, non mi sono interessato di altro, non so altro che la missione”. Tradotto in termini attuali, è la stessa insistenza che troviamo nella “Novo Millennio Ineunte” e nei recenti documenti della Conferenza Episcopale Italiana che ci indicano nella contemplazione del volto di Cristo la forza e il modello dell’evangelizzazione.
“Preti mediocri non ci servono: abbiamo bisogno di una vera schiera di uomini superiori, ripieni di Spirito Santo, capaci di fondate le comunità, capaci di molto soffrire: non semplici soldati, ma condottieri; non mercenari o dilettanti, ma veri pastori di anime nel senso più sublime della parola, che sappiano dare Gesù Cristo alle anime dalla sovrabbondanza del loro tesoro di grazie e virtù”. Se non si contempla il volto di Cristo e non ci si mette alla sua scuola, tutta l’azione apostolica può risultare uno spreco di energie. Senza questa passione non vi possono essere ansia e creatività per la missione. Il prete senza una solida fede non esiste; e se esiste, non è il vero prete di Cristo. Egli è per eccellenza l’uomo della fede: nasce dalla fede, vive della fede, per questa volentieri lavora, patisce e muore. P. Vito del Prete, PIME, Segretario generale della Pontificia Unione Missionaria (Agenzia Fides 15/6/2007; righe 53, parole 805)


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