AFRICA - “Safari petrolifero” in Africa Orientale: con i prezzi del greggio in rialzo diventa conveniente sfruttare il petrolio in aree disagiate, ma a che prezzo per la popolazione locale?

giovedì, 24 maggio 2007

Roma (Agenzia Fides)- Si alza il prezzo del petrolio e le compagnie petrolifere, alla ricerca di nuovi giacimenti, si addentrano in territori finora inesplorati, dove finora era poco conveniente investire in prospezioni. Proprio in questi giorni la stampa internazionale riporta alcune notizie dell’affacciarsi sul mercato petrolifero di nuovi possibili produttori come la Cambogia in Asia o l’Uganda in Africa. Anche il Corno d’Africa, attraversato da tensioni profonde e devastato dalla guerra civile somala, sta attirando l’interesse di diverse compagnie petrolifere.
Finora sono stati spesi 500 milioni di dollari per scavare circa 500 pozzi in una regione che si estende verso est dall’Uganda al Madagascar e verso sud dall’Eritrea a Città del Capo. Si tratta di una cifra ancora irrisoria rispetto ai 30mila pozzi dell’Africa settentrionale e di quella occidentale, ma che testimonia del crescente interesse per un area in cui le compagnie petrolifere incontrano serie difficoltà ad operare. Oltre agli ostacoli di carattere politico e relativi alla sicurezza, la maggior parte dei Paesi dell’area sono privi di infrastrutture come porti efficienti, strade, linee di comunicazione, per non parlare degli oleodotti che devono essere costruiti ex novo.
I Paesi più promettenti sono il Sudan e l’Etiopia. Il primo produce circa mezzo milione di barili di petrolio al giorno ma la sua potenzialità deve essere ancora studiata a fondo con un’intensa campagna di ricerca che stenta a decollare a causa delle tensioni politiche. Nonostante l’accordo di pace raggiunto tra il governo di Khartoum e gli ex guerriglieri del sud Sudan, le compagnie straniere sono ancora restie ad effettuare massicci investimenti nel Paese per non suscitare l’irritazione dell’opinione pubblica internazionale, che imputa al governo sudanese la responsabilità principale per le violenze nel Darfur. Anche in questa regione, nella parte occidentale del Sudan, vi sarebbe il petrolio e non pochi osservatori affermano che la violenza esplosa nell’area nel 2003 è legata a questo fattore, finora tenuto nascosto.
In Etiopia, il recente rapimento di alcuni tecnici cinesi impegnati in un’operazione di prospezione petrolifera (vedi Fides 25 aprile 2007) ha messo in rilievo le speranze poste da diversi investitori stranieri nel trovare nuovi giacimenti nel Paese. Le aree più interessanti sono però attraversate da tensioni politiche come nell’Ogaden e nella regione di Gambella (vedi Fides 16, 17 dicembre 2003 e 20 gennaio 2004). Anche la regione somala del Puntland interessa gli esperti che la considerano un’estensione geologica del vicino Yemen.
Per coordinare le loro politiche petrolifere Uganda, Tanzania e Kenya hanno costituito la Conferenza Petrolifera dell’Africa Orientale, un’associazione intergovernativa con sede ad Arusha (Tanzania) che cerca di attirare gli investimenti delle società petrolifere straniere nella regione.
Si è quindi aperto un vero e proprio “safari petrolifero” al quale partecipano compagnie grandi e piccole, provenienti da Europa, Asia e Americhe. Una situazione che rischia però di gettare benzina sul fuoco nelle tensioni dell’area. (L.M.) (Agenzia Fides 24/5/2007 righe 39 parole 502)


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