VATICANO - I quattro “Atti” della vita di fede del cristiano - L’Atto di Carità (IV)

sabato, 14 aprile 2007

Città del Vaticano (Agenzia Fides) - “Vai e anche tu fai lo stesso”. Gesù non dà un consiglio, è un comandamento nuovo, dal quale dipende la nostra salvezza eterna, il perdono dei nostri peccati da parte di Dio. Nella preghiera insegnata da Gesù ai suoi discepoli, il “Padre Nostro”, c’è questa domanda che rivolgiamo a Dio: “… e perdonaci i nostri peccati, perché anche noi perdoniamo ad ogni nostro debitore” (Luca 11, 4a); “rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori” (Matteo 6, 12).
Ciò vuol dire: trattaci come noi abbiamo trattato gli altri! E su questo punto Gesù precisa ed insiste: “Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe” (Matteo 6, 14-15). E ancora: “Non giudicate, per non essere giudicati; perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarete misurati… Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e poi ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello” (Matteo 7, 5).
Gesù ci dà la “regola d’oro”: “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge ed i Profeti” (Matteo 7, 5). Amare il prossimo significa innanzitutto amare se stessi, non di un amore egoista, ma rispettare in noi l’immagine di Dio, la nostra dignità di Figli di Dio, e fare lo stesso col prossimo, anche con coloro che ci perseguitano, che ci odiano, con i nostri nemici: “il vostro premio sarà grande e sarete figli dell`Altissimo; perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi” (Luca 6, 35).
Amare il prossimo vuol dire dunque evitare tutto ciò che può nuocere al prossimo, la sua persona, la sua reputazione, il suo onore, i suoi beni, evitare ogni giudizio: la maldicenza, che consiste nel tenere verso qualcuno dei propositi malevoli, nel rivelare i suoi difetti con l’intenzione di nuocergli più o meno coscientemente; il giudizio temerario, che è il giudizio che si esprime con cattiveria riguardo ad una persona o ad una azione, senza che sia fondato su prove sufficienti; la calunnia, che è un’accusa falsa che ferisce la reputazione o l’onore di una persona.
Ma anche il rancore, che è l’amarezza profonda che si serba in seguito ad una delusione o ad un’ingiustizia; il risentimento che è l’astio che si serba dopo un’offesa o un’ingiustizia. L’odio che può provenire dal rancore o dal risentimento e può arrivare fino alla vendetta: significa provare un’ostilità viva che porta ad augurare o a fare del male a qualcuno, che fa provare una viva ripugnanza, un sentimento profondo di avversione nei confronti ella persona odiata… agire così significa uccidere moralmente il prossimo!
Siamo allora ben lontani dall’ideale evangelico, e rischiamo di mettere così in pericolo la nostra vita eterna: “Fuori i cani, i fattucchieri, gli immorali, gli omicidi, gli idolatri e chiunque ama e pratica la menzogna!” (Apocalisse 22, 15). Durante il Giudizio finale, il Figlio dell’Uomo, dopo aver separato i capri dalle pecore, dirà: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e i suoi angeli. Perché ho avuto fame…ho avuto sete… ero forestiero, nudo… malato e in carcere…” (Matteo 25, 41-44). Di fronte alle loro proteste, Egli risponderà: “non mi avete dato da mangiare… non mi avete dato da bere… non mi avete ospitato… non mi avete vestito… non mi avete visitato…” (ibid). A coloro che sono alla sua sinistra, e che sono condannati al fuoco eterno, Egli darà questo giudizio senza appello: “Ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a me” (Matteo 25, 45).
San Giovanni non sarà meno esplicito e le sue parole devono risuonare nelle nostre orecchie come un avvertimento solenne: “chi odia suo fratello è nelle tenebre, cammina nelle tenebre e non sa dove va, perché le tenebre hanno accecato i suoi occhi” (Iª Lettera di Giovanni 2, 11a-c). E lo stesso: “Se uno dicesse - io amo Dio - e odiasse il suo fratello, è un mentitore. chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. Questo è il comandamento che abbiamo da Lui: chi ama Dio, ami anche suo fratello» (Iª Lettera di Giovanni 4, 20-21).
Facciamo allora un serio esame di coscienza, da cui scaturisca la necessità di recitare spesso, magari tutti i giorni, questo Atto di Carità, per convincercene, e per correggerci se ce ne fosse bisogno. (fine) (J.M.) (Agenzia Fides 14/4/2007, righe 50, parole 774)


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